1
In una terrina, e sceglietela bella per questioni di amor proprio, amalgamate la carne trita con l’uovo, le fette di pane bagnate nel latte e ben strizzate, il prosciutto tritato finemente, il parmigiano, sale, pepe, un pizzico di cannella e uno di noce moscata.
2
Formate delle polpettine grandi come noci che passerete nella farina a farsi belle, fatele scivolare in un filo d'olio gentile e rosolatale su tutti i lati.
Che la pentola sia robusta, con i bordi alti e una predisposizione naturale alla cottura lenta. Quando le polpettine saranno dorate, scolatele e tenetele da parte.
3
Tocca ora alle cipolle affettate sottili che lascerete imbiondire nello stesso fondo delle polpette assieme alla carota e al sedano ridotti a minuscoli dadini. Una volta teneri ma ancora pallidi, sfumate con un bicchiere di vino rosso, infine aggiungete un cucchiaino di paprika dolce, uno di paprika forte e mezzo di semi di cumino.
Fate cuocere coperto per un'ora almeno, deve risultare denso e profumato, un lettuccio accogliente per le polpettine fritte in precedenza.
4
Proseguite la cottura con il coperchio per un’altra ora e cinque minuti prima di spegnere, il colpo di scena: fate sciogliere le chips di cioccolato nel fondo per renderlo prezioso come quei quadratini che luccicavano nella dispensa.
5
Servite le polpettine al goulash nelle tazze da the preferite ricolme di purè vellutato che come lo faceva nonno Tonci per la sua Maria, nessuno mai… ma noi ci proviamo sempre comunque e a ogni boccone riportiamo tutti a Zara, a casa, con il ricordo e con l’amore.
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Queste sono le nostre polpette del cuore, a casa le chiamiamo schnitzel, ma non sono certo delle cotolette, in più sono speziate come un goulash triestino. Sono polpette meticce come la terra da cui proveniamo, e la nostra nonna dagli occhi verdi e il cuore imbrigliato al vaporetto che da Zara portava all’altra sponda dell’Adriatico ce le preparava per insegnarci che nulla di davvero importante è mai perduto. Basta saperne cucinare molto bene il ricordo tre volte al giorno: colazione, pranzo e cena.
Erano grandi le manovre nella piccola cucina di Nonna Maria, separata dal tinello con una tendina dal bordo rosa a righe bianche e blu, la stessa stoffa del suo grembiule. Matasse di tagliolini a riposare, un coccio che brontolava sul fuoco e una torta sempre in forno perché la guerra era finita e si celebrava ogni nuovo giorno anche se lontani da casa.
Noi nipoti eravamo attratte forte dai tesori della dispensa: lo zucchero chiuso con lo spago salvato dal cartoccio della spesa, i pinoli e l’uvetta per lo strudel, il cacao amaro per la ricotta che farciva le palacinche e quei quadratini sfusi di cioccolato scuro e lucido che risplendevano come gemme preziose.
Se eri molto ma molto brava, tipo la nipotina con le treccine più ordinate da Porta Romana a Corso Lodi, te ne guadagnavi un angolo tagliato con il coltellino seghettato e potevi pure tirare su con l’indice le minuscole scaglie perdute sul tagliere. Un giorno toccava alla sorella grande, il giorno dopo alla piccola, indipendentemente da come ci eravamo comportate.
Quando Zàini ci ha chiesto di raccontare il valore che possiede per noi il cioccolato, è a quelle bambine e alla loro nonna che il pensiero è subito volato.